Regia: Chris Sanders
Voci: Lupita Nyong’o, Pedro Pascal, Catherine O’Hara, Bill Nighy, Kit Connor, Stephanie Hsu, Matt Berry, Ving Rhames, Mark Hamill, Raphael Alejandro, Eddie Park
Sceneggiatura: Chris Sanders
Produttore: Jeff Hermann
Montaggio: Mary Blee
Origine: Francia, 2023
Distribuzione: I Wonder Pictures
Durata: 102′
Sinossi:
Il Robot Selvaggio diretto da Chris Sanders, è un film d’animazione prodotto da DreamWorks che fonde avventura, emozione e riflessione ecologica. Adattato dal romanzo illustrato di Peter Brown, il film racconta la storia di Roz, un robot multifunzionale (unità ROZZUM 7134) che, dopo un naufragio, si ritrova su un’isola selvaggia disabitata. Attivata accidentalmente dalla fauna locale, Roz entra in modalità di osservazione, cercando di comprendere l’ambiente circostante e imparare a comunicare con gli animali.
La sua esistenza prende una svolta significativa quando un piccolo pulcino d’oca, rimasto orfano, la scambia per sua madre e si affeziona a lei. Roz, inizialmente priva di emozioni umane, inizia a sviluppare un legame profondo con il cucciolo, che chiama Beccolustro. Decide quindi di prendersi cura di lui, insegnandogli a nuotare e a volare, preparandolo per la migrazione autunnale. Questo rapporto madre-figlio, seppur tra un essere umano e una macchina, esplora temi universali come la genitorialità, l’accettazione e l’importanza della comunità.
Il film si distingue per la sua animazione raffinata, che utilizza uno stile visivo che richiama l’acquerello, conferendo un aspetto naturale e suggestivo alla rappresentazione dell’isola e dei suoi abitanti. Le texture ispirate all’impressionismo e l’uso di colori tenui contribuiscono a creare un’atmosfera immersiva e poetica. La colonna sonora, composta da Kris Bowers, arricchisce ulteriormente l’esperienza emotiva del film.
Tra i temi trattati, spiccano la solitudine, la discriminazione, la ricerca dell’identità e la famiglia, affrontati con sensibilità e senza didascalismi. Il film esplora anche la relazione tra tecnologia e natura, mostrando come l’intelligenza artificiale possa evolversi e sviluppare emozioni in un contesto naturale. L’assenza di un antagonista tradizionale permette di concentrarsi sulle dinamiche interpersonali e sulla crescita dei personaggi.
Accolto positivamente dalla critica, Il Robot Selvaggio ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui candidature agli Oscar e ai Golden Globe del 2025 per miglior film d’animazione, miglior sonoro e miglior colonna sonora originale.
Il Robot Selvaggio è un’opera che trascende i confini dell’animazione tradizionale, offrendo una narrazione profonda e commovente che esplora temi universali attraverso gli occhi di un robot che impara a essere umano.
Recensione (di Pompeo Angelucci): Una nave cargo della Universal Dynamics durante un tifone perde sei dei robot che stava trasportando su un’isola remota, abitata solamente da animali selvatici. Uno di questi, utili agli esseri umani per svolgere i più disparati compiti, ROZZOM 7134 poi soprannominato Roz, viene accidentalmente attivato da uno di questi animali con cui però non riesce a interagire anche se inizia la sua ricerca spasmodica del compito da svolgere. Durante una fuga dall’orso, creatura più feroce dell’isola, Roz schiaccia accidentalmente delle uova di oca, lasciando intatta solamente una. La missione da portare a termine diviene quindi crescere l’oca sopravvissuta; che una volta schiusa verrà chiamata Beccolustro. Aiutato dalla volpe Fink sarà per Roz l’occasione di scoprire dentro se stessa un istinto puramente umano e non più artificiale, ovvero l’affetto scaturito dal senso materno. Il robot selvaggio, tratto dall’omonimo libro illustrato di Peter Brown e adattato e diretto da Chris Sanders, segna un ritorno in grande stile della DreamWorks, rispolverando le qualità tipiche della casa d’animazione statunitense che negli ultimi anni sembravano appannate. Infatti si assiste ad un’esposizione chiara e affatto scontata di temi maturi, apparentemente in controtendenza pensando ai prodotti d’animazione contemporanei. Il robot selvaggio difatti appare attento al racconto di formazione, che si fa raffinato guardando al modo in cui i personaggi interagiscono con la morte. È possibile assistere a momenti di crudezza tangibili e soprattutto necessari: sono gli stessi animali abitanti dell’isola ad ammettere l’esistenza di una gerarchia,
disegnata da una catena alimentare alla quale non ci si può sottrarre. Mangiare o venire mangiati. Questi sono punti fondamentali per costruire una crescita nello spettatore, specialmente in tenera età, in modo da scaturire domande importanti che accompagnano una crescita “critica” nei confronti di ciò che possiamo trovare dentro e fuori noi stessi.
Approfondimento:
● Il rapporto col progresso:
Il contesto in cui Roz si ritrova è completamente estraneo alla sua funzione originaria. Progettata per svolgere compiti pratici e ripetitivi in un ambiente urbano altamente tecnologico, la robot protagonista viene invece “risvegliata” su un’isola selvaggia, lontana da qualsiasi forma di civiltà. Questo nuovo mondo, apparentemente ostile, la costringe a rimettere in discussione i parametri per cui è stata costruita. L’ambiente naturale, con le sue regole, i suoi ritmi e i suoi abitanti, diventa lo spazio attraverso cui Roz, paradossalmente, inizia a scoprire una forma di umanità che non le era mai appartenuta. È in questa frattura tra mondo artificiale e mondo naturale che si innesta il vero cuore tematico del film. Roz non solo deve adattarsi fisicamente a un ecosistema per cui non è stata progettata, ma soprattutto deve imparare a leggere le emozioni, le relazioni, i gesti di cura e di solidarietà che nel suo mondo di provenienza — asettico e finalizzato alla produttività — non esistono. Imparare a vivere nella natura diventa, per lei, un processo di emancipazione dalla sua stessa programmazione. Il film, tratto dall’omonimo romanzo illustrato di Peter Brown, utilizza questa premessa per riflettere in modo delicato ma incisivo sulla relazione uomo-tecnologia-natura. Roz è, a tutti gli effetti, un prodotto del progresso, ma è nel contatto con l’ambiente naturale che sviluppa una propria consapevolezza. Non più semplice macchina ma essere senziente capace di cura, dubbio e scelta. Uno dei momenti più emblematici è l’adozione di Beccolustro, un’oca orfana che prende Roz per sua madre. Questo gesto, apparentemente innaturale per un’intelligenza artificiale, rappresenta una frattura profonda nella sua identità programmata. Non segue un protocollo, ma un bisogno profondo che emerge da un’esperienza di vita reale. È in questo momento che il film introduce, il tema della libera scelta come fondamento dell’identità. Il percorso di Roz suggerisce che il progresso, se non dialoga con la natura e non si lascia
contaminare dall’umano, rischia di diventare sterile. La tecnologia non è condannata in sé, ma lo è quando perde il contatto con ciò che la rende significativa: l’ambiente, le relazioni, il tempo. E infatti Roz, nel corso del film, sviluppa un pensiero autonomo, una forma di coscienza che la rende capace di porsi domande sul suo posto nel mondo, sulla libertà, sul significato della vita — domande che nessun algoritmo le aveva mai insegnato a porsi. Il film si inserisce così in una lunga tradizione narrativa che mette in discussione l’idea di progresso lineare e inarrestabile. Anche l’animatore italiano Bruno Bozzetto, con ironia e sensibilità, ha riflettuto sul conflitto tra uomo moderno e natura — basti pensare al corto Cavallette o al celebre Allegro non troppo, dove la tecnica viene costantemente interrogata dal caos e dalla bellezza del mondo naturale. Il Robot Selvaggio non propone una soluzione definitiva, ma invita a una riconciliazione possibile. La natura non è ostile, la tecnologia non è malvagia: il problema nasce quando l’una pretende di cancellare l’altra. Roz, in questo senso, diventa un ponte: tra intelligenza artificiale e sensibilità organica, tra programmazione e intuito, tra progresso e rispetto per l’ecosistema. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale e la crisi ambientale sembrano due forze contrapposte, il film ci ricorda che il futuro non è necessariamente un bivio, ma può essere un intreccio. E a volte, è proprio una macchina a mostrarci la via per tornare umani.
● L’inquinamento globale:
Nel film Il Robot Selvaggio, l’inquinamento globale non è mai esplicitamente mostrato, ma aleggia come un’ombra silenziosa sullo sfondo della narrazione. Roz, il robot protagonista, si risveglia su un’isola incontaminata, lontana da ogni traccia di civiltà umana. Eppure, è proprio la sua presenza a tradire un passato industriale: Roz è un prodotto di un mondo tecnologico avanzato, un frammento di un sistema che ha evidentemente raggiunto un livello di sofisticazione tale da spingersi oltre i limiti del necessario. Il fatto che venga “dispersa” nella natura non è casuale: rappresenta il rifiuto, l’eccesso, la scoria di un progresso che non sa più contenersi. L’isola, pur intatta, è lo specchio di un mondo in cui la natura è rimasta una delle poche oasi non compromesse. Ma la comparsa di Roz introduce una domanda implicita: quanto ancora potrà durare questo equilibrio prima che venga contaminato? Se Roz è capace di adattarsi, imparare, integrarsi nel paesaggio naturale, ciò avviene solo dopo un lungo processo di trasformazione. All’inizio, la sua presenza è estranea, quasi invasiva — un
corpo metallico che stride con il canto degli uccelli e il frusciare del vento tra gli alberi. Il film suggerisce che la vera minaccia non è la tecnologia in sé, ma la disconnessione dell’uomo dal proprio ambiente. Roz, priva di volontà distruttiva, si comporta meglio di quanto farebbe un essere umano medio: osserva, ascolta, rispetta. Tuttavia, la sua esistenza è il prodotto di un mondo in cui l’artificiale ha superato i confini del sostenibile. È perciò impossibile non leggere il suo approdo sull’isola come una metafora del disastro ecologico in atto: una natura che deve assorbire e rielaborare ciò che l’uomo ha scartato. Roz non si limita a sopravvivere sull’isola, ma inizia a “riparare” ciò che è rotto, a prendersi cura della vita. In questa scelta di empatia e responsabilità si intravede una strada alternativa, una via ecologica che parte non da un’imposizione esterna, ma da una coscienza individuale, anche se generata da un’intelligenza artificiale. Se l’unica traccia del nostro passaggio dovesse essere una macchina come Roz, cosa direbbe di noi? L’isola può essere vista come un ultimo luogo di resistenza contro l’invasione del mondo industriale. Roz diventa il tramite tra due mondi: non per distruggere, ma per imparare, preservare, evolvere in armonia con l’ambiente. In questo senso, Il Robot Selvaggio si collega idealmente a WALL·E, il film Pixar in cui la Terra, devastata dall’inquinamento e dall’eccesso di consumi, è ormai inabitabile. Anche lì, è un robot a custodire la memoria del pianeta e a rappresentare l’unica speranza di rinascita. Ma mentre WALL·E racconta un mondo post-apocalittico, Il Robot Selvaggio ci offre una possibilità: agire prima che sia troppo tardi. Entrambi i film condividono una visione fondamentale: la salvezza non passa per la superiorità della tecnologia, ma per la riscoperta dell’umiltà, della cura e del legame profondo tra le creature e la Terra. E a volte, è proprio una macchina — programmata per obbedire — a insegnarci cosa significhi davvero prendersi responsabilità del nostro mondo.
● La maternità:
Ne Il Robot Selvaggio, la maternità emerge come un tema centrale e profondamente trasformativo, incarnato in modo sorprendente dalla figura di Roz, una macchina creata per compiti pratici e ripetitivi. Priva di qualsiasi funzione affettiva o istinto protettivo, Roz diventa madre per scelta, non per programmazione. Quando trova un uovo orfano e decide di prendersene cura, non risponde a un comando o a una direttiva, ma a qualcosa che va oltre il
codice: un impulso, forse, un’intuizione profonda, che la lega per la prima volta a un altro essere vivente in modo autentico e gratuito. Questa adozione non è solo un punto di svolta narrativo, ma anche simbolico: Roz diventa madre nel senso più pieno del termine, assumendosi la responsabilità dell’altro, imparando a conoscere Beccolustro, affrontando con lui le sfide della crescita. La maternità in questo contesto non è solo biologica. Roz non sa nulla dell’essere madre, ma lo diventa attraverso l’ascolto, la presenza e la cura. Questo tema si intreccia perfettamente con quello affrontato da Luis Sepúlveda nel suo romanzo del 1996 Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Anche lì, un animale improbabile — il gatto Zorba — si trova a dover allevare una creatura che appartiene a un’altra specie, una gabbianella orfana. E come ne Il Robot Selvaggio, la maternità si manifesta come un atto di amore scelto, non imposto, che rompe le barriere dell’identità e delle aspettative. Zorba promette alla madre morente di proteggere l’uovo e insegnare alla piccola a volare — un compito che sembra impossibile, ma che diventa occasione di crescita per entrambi. Roz e Zorba, pur provenendo da mondi molto diversi — l’una macchina, l’altro animale — condividono una verità profonda: essere genitori non significa avere risposte, ma essere disposti a cambiare. Entrambi affrontano l’inadeguatezza iniziale, l’ignoto, la paura di non essere all’altezza. Ma proprio in questo cammino incerto si costruisce la relazione più autentica e rivoluzionaria: quella tra chi cresce e chi si lascia cambiare dall’amore per l’altro.
Mappa concettuale:
● Snow Storm di William Turner; 1842 dipinto
● Vip. Mio fratello superuomo di Bruno Bozzetto; 1968 film
● Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepùlveda; 1996 romanzo
● I Mitchell contro le macchine di da Mike Rianda e Jeff Rowe; 2022 film
● Laputa. Castello nel cielo di Hayao Miyazaki; 1986 film
● Rumore bianco di Don DeLillo; 1985 romanzo
● I Robot Meritano Diritti? Cosa succederebbe se le macchine diventassero coscienti? di Kurzgesagt – In a Nutshell; 2017 youtube